Negli anni tra le due guerre, Arpad Weisz fu uno dei più grandi maestri di panchina del calcio italiano. Era ungherese, nato a Solt il 16 aprile 1896, arrivò in Italia come calciatore nei primi anni Venti, chiamato dall’Inter, che andava riprendendosi da un robusto spavento e si riprometteva coi fatti di non attraversare più simili avversità. Arpad Weisz era un’ala sinistra con 6 presenze in Nazionale. Diede buona prova di sé (3 gol in 10 partite nel 1925-26), ma soprattutto dimostrò una spiccata attitudine all’istruzione dei giocatori. Passare dal campo alla panchina fu dunque naturale. Ottenne un quinto posto, inventando Bernardini centravanti e poi un settimo, dovendo scontare l’assenza per squalifica della “stella” difensiva Allemandi, cui rimediò inventando una linea difensiva di cinque terzini (col centromediano stabilmente arretrato) grazie all’arretramento delle due mezzeali: in pratica, l’anticipazione in Italia del Sistema che Chapman andava realizzando oltreManica. Il piazzamento non soddisfacente ne provocò la sostituzione con Viola, ma nel 1929, con l’avvento del girone unico, Weisz veniva richiamato dal club nerazzurro, diventato “Ambrosiana-Inter” per volere del regime. Weisz vinse lo scudetto e l’anno dopo colse il quinto posto, sufficiente a fargli cambiare di nuovo aria. Salvò il Bari e tornò all’Ambrosiana, per due secondi posti consecutivi.
A quel punto arriva la chiamata del Bologna, fresca di due Coppe dell’Europa Centrale ma in crisi di risultati: Weisz sostituisce alla quindicesima giornata l’ungherese Lajos Kovacs. Chiuso il torneo al sesto posto, Weisz riorganizza la squadra, preparando il periodo più fulgido della storia rossoblù. Fa ingaggiare dal presidente Dall’Ara un preparatore atletico, Filippo Pascucci, dal River Plate, col compito di occuparsi anche delle giovanili, e disegna uno squadrone formidabile, che utilizzando appena 14 elementi vince il campionato 1935-36 e fa il bis in quello successivo, quando può contare sul grande centromediano uruguaiano Andreolo e sulla scommessa Fiorini in difesa in luogo di Monzeglio, ceduto alla Roma. Al termine della stagione, il Bologna di Weisz raggiunge il culmine, tramandandosi alla storia come probabilmente il più forte di tutti i tempi con la vittoria del Torneo dell’Esposizione di Parigi, una sorta di Mondiale per club, battendo in finale il Chelsea per 4-1 (prima squadra italiana a battere una squadra inglese). I giocatori sono tutti con il loro tecnico, abile non solo nella “lettura” delle partite, ma anche come gestore di uomini. Autorevole senza bisogno di essere autoritario (non alza mai la voce), ha un modo tutto suo per… punire chi sbaglia: lo invita a pranzo a casa sua e nell’amabile atmosfera conviviale lo convince a correggersi. Dopo un quinto posto, prima del terzo trionfo tricolore personale in quattro anni l’artefice del più grande Bologna della storia sparisce per sempre di scena. Arpad Weisz era ebreo e a fine ottobre 1938 dovette fuggire dall’Italia a causa delle leggi razziali. Nel silenzio generale (nemmeno una riga sugli organi di stampa), se ne andò, prima a Parigi e poi in Olanda. Anni dopo si seppe che era perito assieme alla famiglia il 31 gennaio 1944 nel lager di Auschwitz. Nel 2009 è stata dedicata a lui e alla propria famiglia una lapide sotto la Torre di Maratona.
Soprattutto grazie all’opera di ricerca di Matteo Marani e al suo splendido libro “Dallo scudetto ad Auschwitz” si è riusciti a risollevare dall’oblio questa storia e a ricostruirne i dettagli della vita dell’uomo e della propria famiglia. Sono così riemerse l’ubicazione dell’abitazione in via Valeriani n.39, delle Scuole Bombicci frequentate dal proprio figlio Roberto, il campo dall’allenamento della Virtus.
Galleria storica
Per approfondire:
ITINERARIO: “Arpad Weisz a Bologna”
Libro: “Dallo scudetto ad Auschwitz”, di M. Marani edito da Aliberti